22 Settembre 2025

Carbonio, il bilancio in rosso dell’Amazzonia: meno 370 milioni di tonnellate in dieci anni

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Lo studio: tra il 2010 e il 2020 le perdite di carbonio sono cresciute sulla spinta della deforestazione e di altri fenomeni sottovalutati come incendi e frammentazione. L’intensità del rilascio è maggiore nelle aree protette

di Matteo Cavallito

Nello spazio di un decennio l’Amazzonia ha visto peggiorare in modo significativo il proprio bilancio di carbonio con una perdita netta di centinaia di milioni di tonnellate. Un fenomeno legato soprattutto all’impatto delle attività umane esacerbate da fenomeni climatici come El Niño. Lo afferma uno studio pubblicato su Nature Communications.

L’indagine, a cura di un gruppo di scienziati provenienti da diverse istituzioni accademiche e di ricerca europee, brasiliane e cinesi, ha permesso, in particolare, di quantificare le variazioni annuali dell’anidride carbonica sopra il suolo tra il 2010 e il 2020. Distinguendo tra zone naturali e aree influenzate da fattori antropogenici e, soprattutto, fornendo una valutazione più precisa del fenomeno.

Misurare l’impatto dei fenomeni

“La foresta pluviale amazzonica svolge un ruolo centrale nel ciclo globale del carbonio stoccando il 14% dell’ammontare totale dell’elemento fissato dalle piante ogni anno e il 28% della quota sequestrata nella biomassa fuori terra: 102 milioni di tonnellate”, spiega lo studio. Tuttavia, “l’attività umana ha ridotto la capacità di stoccaggio attraverso la deforestazione e il degrado con il 20% dell’estensione originaria convertita ad altri usi del suolo e il 5,5% delle foreste tuttora esistenti soggette a incendi, disboscamento e frammentazione”.

In Amazzonia, continua la ricerca, il disboscamento è diminuito all’inizio del XXI secolo ma negli ultimi dieci anni la tendenza si è invertita tanto che la regione continua a perdere in media quasi 8.000 km² di foresta all’anno.

Per proteggere la foresta occorre capire innanzitutto l’impatto sul bilancio di carbonio dei singoli eventi distinguendo tra cause naturali (clima e altri eventi) e umane (deforestazione, degrado, agricoltura). Le analisi satellitari in uso consentono di stimare l’ammontare della biomassa e del carbonio nella foresta ma la loro risoluzione è poco precisa e non permette di distinguere bene i singoli processi. Gli autori hanno quindi elaborato un metodo statistico per trasformare i dati grossolani già disponibili in mappe ad alta risoluzione distinguendo tra cambiamenti fisiologici e antropogenici.

In 10 anni persi 370 milioni di tonnellate di carbonio

Le nuove mappe – che hanno una risoluzione di 100 metri contro i 25 chilometri delle precedenti – coprono il periodo 2010–2020 e permettono di calcolare meglio il bilancio del carbonio. Gli autori, in particolare, hanno potuto mostrare le aree con forti perdite e quelle caratterizzate da un accumulo netto di carbonio dovuto alla ricrescita. Ebbene: “Il cambiamento totale della biomassa fuori terra netta ha raggiunto il suo massimo nel periodo 2010–2012, con un incremento di 960 milioni di tonnellate di carbonio, e il suo minimo tra il 2010 e il 2018 con una diminuzione di 610 milioni di tonnellate”.

Nel corso dell’intero decennio, invece, il bilancio complessivo indica “una perdita cumulativa netta di 370 milioni di tonnellate di carbonio, risultante dagli assorbimenti da foreste intatte e secondarie (+66 milioni, ndr) compensati dalle emissioni derivanti da cambiamento d’uso del suolo, degrado e deforestazione (-103 milioni, ndr)”.

Non solo deforestazione

La deforestazione e il degrado, in altre parole, hanno cancellato completamente i benefici derivanti dal sequestro di carbonio nelle aree intatte determinando una perdita netta dell’elemento. Il degrado forestale, in particolare, è responsabile da solo di circa la metà del rilascio totale evidenziando, di conseguenza, il peso di fenomeni talvolta sottovalutati – come incendi, frammentazione e logoramento – che si affiancano al disboscamento producendo danni meno visibili ma altrettanto importanti.

Attribuzione del cambiamento annuale del carbonio della biomassa sopra il suolo (AGC) (a); attribuzione delle aree con perdite e guadagni di AGC (b); quota delle perdite totali di AGC [a sinistra] e dei guadagni [a destra] avvenuti in aree influenzate dall’uomo, media 2015-2019 (c); quota della superficie totale con perdite [a sinistra] e guadagni [a destra] che ricade in aree influenzate dall’uomo, media 2015-2019 (d); differenza tra la prima e la seconda metà del decennio nella quota delle perdite totali di AGC avvenute in aree influenzate dall’uomo [a sinistra] e nella quota della superficie totale con perdite che ricade in aree influenzate dall’uomo [a destra]. Fonte:  Fendrich, A., Feng, Y., Wigneron, JP. et al. Human influence on Amazon’s aboveground carbon dynamics intensified over the last decade. Nat Commun 16, 6681 (2025). https://doi.org/10.1038/s41467-025-61856-1 Attribution 4.0 International CC BY 4.0 Deed

Attribuzione del cambiamento annuale del carbonio della biomassa sopra il suolo (AGC) (a); attribuzione delle aree con perdite e guadagni di AGC (b); quota delle perdite totali di AGC [a sinistra] e dei guadagni [a destra] avvenuti in aree influenzate dall’uomo, media 2015-2019 (c); quota della superficie totale con perdite [a sinistra] e guadagni [a destra] che ricade in aree influenzate dall’uomo, media 2015-2019 (d); differenza tra la prima e la seconda metà del decennio nella quota delle perdite totali di AGC avvenute in aree influenzate dall’uomo [a sinistra] e nella quota della superficie totale con perdite che ricade in aree influenzate dall’uomo [a destra]. Fonte:  Fendrich, A., Feng, Y., Wigneron, JP. et al. Human influence on Amazon’s aboveground carbon dynamics intensified over the last decade. Nat Commun 16, 6681 (2025). https://doi.org/10.1038/s41467-025-61856-1 Attribution 4.0 International CC BY 4.0 Deed

Il fattore umano

Nel dettaglio, rileva la ricerca, tra il 2010 e il 2020 le aree influenzate dalle attività umane hanno perso in media 242 milioni di tonnellate di carbonio accumulandone, per contro, soltanto 170. Il fattore antropico, in altre parole, è responsabile del 43% delle dispersioni e del 33% dei guadagni annuali di carbonio della foresta. L’impatto umano, infine, è stato ancora più marcato nel biennio 2019–2020, quando si è raggiunto il picco della deforestazione, e negli anni 2010 e 2015 caratterizzati dall’azione di El Niño, il fenomeno del riscaldamento periodico delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale nei mesi invernali che si verifica mediamente ogni cinque anni. Ma non è tutto.

L’intensità delle perdite è maggiore nelle aree protette

Particolarmente significativo quanto emerso dall’indagine sulle aree protette e le terre indigene del Brasile dove le perdite medie di carbonio dovute al degrado forestale sono salite da 7,8 a 17,1 milioni di tonnellate di carbonio all’anno tra la prima e la seconda metà del decennio mentre l’ammontare del carbonio rilasciato a seguito della deforestazione è cresciuto da 4,9 a 6,8 milioni di tonnellate annue. I dati in valore assoluto sono ovviamente più alti nelle zone non protette (dove le perdite per deforestazione e degrado viaggiano rispettivamente a quota 53,7 e 56,7 milioni di tonnellate all’anno). Ma il confronto in termini relativi dipinge un quadro diverso.

L’intensità del rilascio – carbonio perso per unità di superficie – e l’accelerazione del fenomeno risultano infatti molto più elevate nelle aree soggette a tutela dove la perdita per ettaro raggiunge le 2,8 tonnellate (+40% in dieci anni) contro le 1,6 delle altre zone (+13%).

“L’intensificarsi delle perdite di carbonio all’interno delle aree protette e delle terre indigene è preoccupante e solleva timori sul futuro della foresta pluviale amazzonica”, conclude la ricerca. “Il degrado e la deforestazione possono accelerare il cambiamento climatico regionale, amplificando così le perdite stesse. L’attuazione di politiche di riduzione delle emissioni continuerà a essere difficile se non si baserà su mappe affidabili e aggiornate quasi in tempo reale ma il nostro studio, insieme ad altri recenti contributi, dimostra che questo obiettivo è alla nostra portata”.