13 Agosto 2025

L’AI aiuta le piante a stanare i batteri mutanti

,

Un gruppo di ricercatori californiani ha usato l’intelligenza artificiale per progettare versioni migliorate di un recettore ampliando la sua capacità di riconoscere i batteri minacciosi. E aggiornando così il sistema di difesa delle piante

di Matteo Cavallito

Non diversamente dagli animali, esseri umani inclusi, anche le piante possiedono un sistema immunitario. Tale sistema include ovviamente alcuni specifici recettori che permettono di rilevare la presenza di batteri ostili. Il problema, però, è che questi stessi microorganismi hanno sviluppato la capacità di cambiare aspetto sfuggendo così alla rilevazione. Come aiutare dunque le piante a difendersi da una minaccia in continuo mutamento? Secondo alcuni ricercatori americani la risposta può essere fornita dall’intelligenza artificiale.

I batteri cambiano forma per ingannare le piante

L’ipotesi, in particolare, è stata avanzata da uno studio dell’Università della California Davis, pubblicato di recente sulla rivista Nature Plants. Gli autori, nell’occasione, hanno utilizzato l’AI per aiutare le piante a riconoscere una gamma più ampia di minacce batteriche. Un risultato, spiegano, che aprirebbe la strada allo sviluppo di nuove strategie di protezione per le colture basilari spesso colpite dai patogeni.

“I batteri partecipano a una corsa agli armamenti con le loro piante ospiti e possono modificare gli amminoacidi della flagellina per sfuggire al riconoscimento”, ha spiegato Gitta Coaker, autrice principale dello studio e docente nel Dipartimento di Patologia Vegetale della UC Davis.

La flagellina una proteina presente nelle “code” che i batteri usano per muoversi. L’attenzione degli studiosi si è quindi concentrata su un recettore specifico, chiamato FLS2, che aiuta le piante a riconoscerla. A meno che, come detto, essa non cambi aspetto fino a confondere le piante. Ed è proprio qui, ovviamente, che possono intervenire gli algoritmi.

L’AI fornisce un aggiornamento dei sistemi di difesa

Gli autori, nel dettaglio, hanno utilizzato uno strumento chiamato AlphaFold in grado di prevedere la forma tridimensionale delle proteine. In questo modo, hanno potuto ingegnerizzare il recettore FLS2 e potenziarlo per identificare un numero maggiore di intrusi. Ovvero: hanno progettato versioni migliorate del recettore, aggiornando così il sistema di difesa delle piante. Il gruppo, infatti, si è concentrato su recettori già noti sebbene non presenti nelle principali specie coltivate.

Confrontandoli con recettori più specifici, i ricercatori sono riusciti a identificare gli amminoacidi da modificare per riconoscere un’ampia varietà di batteri.

“Il recettore chinasi FLS2, localizzato sulla superficie cellulare, rileva l’epitopo (la parte dell’antigene riconosciuta dal sistema immunitario, ndr) denominato flg22 e presente nelle flagelle batteriche”, spiega lo studio. “Utilizzando l’analisi della diversità, la modellazione con AlphaFold e le proprietà degli amminoacidi, i residui chiave che permettono un riconoscimento più ampio sono stati mappati sulla superficie di FLS2, dove interagiscono con il co-recettore e con i residui polimorfici di flg22″. I dati raccolti hanno permesso quindi di modificare il recettore ampliandone la capacità di riconoscere i batteri.

Nuove prospettive contro i patogeni delle piante

Secondo gli autori, i risultati dimostrano la capacità teorica di una progettazione basata sulle previsioni di migliorare la resistenza ad ampio spettro ai patogeni. Tra questi, spiegano, c’è in particolare il Ralstonia solanacearum, il batterio responsabile dell’appassimento delle piante. Alcuni ceppi, spiegano, possono infettare oltre 200 specie vegetali, tra cui colture fondamentali come pomodoro e patata.

In futuro i ricercatori vogliono sviluppare strumenti di apprendimento automatico per prevedere quali recettori immunitari occorra modificare. Cercando, inoltre, di ridurre il numero di amminoacidi da alterare per ottenere il massimo risultato. “Limitare la specificità a pochi residui amminoacidici è compatibile con le tecnologie di editing genomico (che permettono la modifica precisa del DNA negli organismi, n.d.r.), e rende più rapida l’applicazione dei geni di resistenza ingegnerizzati”, conclude la ricerca.