I compostatori USA approvano i materiali compostabili
Negli Stati Uniti, i materiali organici costituiscono il 45% dei rifiuti che finiscono in discarica. Alcuni grandi compostatori si uniscono per chiedere di utilizzare gli imballaggi compostabili: “aiutano la raccolta dell’umido, non creano problemi agli impianti di trattamento e sono una soluzione concreta per costruire sistemi alimentari rigenerativi”
di Emanuele Isonio
L’uso di imballaggi e stoviglie compostabili certificati aiuta concretamente a ridurre l’inquinamento da plastica tradizionale. Per di più, il loro riciclo negli impianti di compostaggio non solo è possibile ma anche auspicabile. Al contrario, rifiutarne il conferimento equivale a rallentare l’adozione di soluzioni più rigenerative e finisce per scoraggiare gli sforzi di quelle imprese che stanno studiando alternative più ecologiche e innovative all’invasione endemica delle microplastiche. Sono i concetti principali di una lettera aperta pubblicata nelle settimane scorse da un gruppo di aziende impegnate nella produzione di compost in una decina di Stati USA.

Le imprese di compostaggio firmatarie della lettera “pro imballaggi compostabili”.
L’importanza di facilitare la raccolta dell’umido
Il documento parte da un dato spesso sottovalutato: negli Stati Uniti cibo e contenitori costituiscono il 45% di tutti i rifiuti smaltiti in discarica. Allo stesso tempo, tra il 70 e l’80% del cibo venduto ai consumatori è contenuto in imballaggi. È qui che entrano in gioco i materiali compostabili: ottenuti da risorse rapidamente rinnovabili, una volta compostati, gli imballaggi si trasformano in anidride carbonica (CO2) e materia organica che viene restituita al terreno. “Trasformare le filiere in sistemi circolari che funzionino più come ecosistemi naturali è un passo cruciale per risolvere questo problema” sottolineano i compostatori USA. “Il nostro obiettivo più ampio è restituire più materia organica al terreno, sostenendo al contempo posti di lavoro e attività produttive che contribuiscono al successo sia economico che ambientale”.
Nella lettera, rifacendosi espressamente alla loro esperienza quotidiana, smontano, punto per punto, le critiche (e i pregiudizi) che vengono spesso rivolte alle bioplastiche compostabili. A partire dalla loro effettiva capacità di compostare all’interno di impianti di trattamento organico.
“Gli imballaggi compostabili certificati si decompongono negli impianti di compostaggio industriale. Come compostatori che compostano questo materiale da oltre 70 anni, possiamo assicurarvelo” si legge nel documento.
Nessun rischio contaminazione
Allo stesso tempo, i compostatori USA confermano l’assenza di sostanze chimiche nocive come i PFA negli imballaggi compostabili certificati dai quali non arriva alcuna contaminazione per gli impianti di trattamento. Anzi: “Uno studio condotto da Compostable Chicago nel 2022 ha rilevato che i livelli di contaminazione tendono generalmente a diminuire con una maggiore adozione di articoli compostabili per la ristorazione”.
Dagli autori della lettera arriva infine un invito al National Organics Program del Dipartimento dell’Agricoltura USA affinché permettano ai coltivatori biologici di utilizzare il compost prodotto con imballaggi compostabili: da ormai 40 anni infatti manca una revisione tecnica delle materie prime utilizzabili per la produzione di compost. E ciò ha quindi tagliato fuori materiali nati dopo tale data.
“La presa di posizione dei compostatori statunitensi conferma che i bioprodotti e i materiali innovativi rappresentano una soluzione win win” commenta Marco Versari, presidente di Biorepack, consorzio nazionale per il riciclo organico delle bioplastiche compostabili. “In primo luogo, aiutano innegabilmente l’aumento della raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti e ne migliorano anche la qualità, rendendo più facile la vita ai cittadini e riducendo la quantità di rifiuti che finiscono in discarica. Inoltre, aumentano la quantità di compost che si può produrre negli impianti di trattamento, affrancando la filiera agricola dalla dipendenza dai prodotti chimici di sintesi. Favoriscono poi la transizione verso la bioeconomia circolare. E, non da ultimo, aiutano a riportare preziosa sostanza organica nei terreni agricoli e a contrastare il pericoloso degrado dei suoli”.
Le ricerche che confermano le parole dei compostatori USA
Peraltro, l’appello del gruppo di compostatori USA non fa altro che confermare, da addetti ai lavori, i risultati di diverse ricerche che hanno indagato l’impatto delle bioplastiche compostabili sul suolo se utilizzate per realizzare teli pacciamanti o imballaggi da conferire con il resto della frazione organica per poi trasformarle in compost.
Sul primo fronte uno studio statunitense pubblicato ad aprile 2024 sulla rivista NPJ Materials Sustainability. L’indagine preso in esame diverse ricerche precedenti per analizzare la loro degradazione, l’ecotossicità e valutarne le potenzialità. Risultato: “in condizioni di corretto smaltimento e di completa degradazione, le plastiche biodegradabili, comprese le micro e le nanoplastiche, non si accumulerebbero in modo sostanziale nell’ambiente e sarebbero ben lontane dal raggiungere concentrazioni dannose per gli ecosistemi” spiegano Yingxue Yu, ricercatrice della Connecticut Agricultural Experiment Station di New Haven, e Markus Flury, ricercatore della Washington State University.
A fine 2024 in occasione della fiera Ecomondo di Rimini invece, un team del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna ha presentato i dati preliminari di una ricerca triennale. Obiettivo: indagare l’eventuale presenza di effetti tossici derivanti dall’aggiunta di bioplastiche ai compost.
La ricerca ha preso in esame tre compost: uno senza bioplastiche, uno nel quale la loro concentrazione rifletteva la situazione reale italiana e uno con concentrazione doppia. “A un anno dall’avvio della ricerca, abbiamo constatato che non differiscono in modo sostanziale tra di loro. In nessun caso c’è una differenza significativa nella loro caratterizzazione chimico-fisica, né negli effetti del loro contributo alla fertilità dei suoli” spiega Claudio Marzadori, docente di Chimica Agraria all’ateneo emiliano, che, in un’intervista a Re Soil promuoveva i bioprodotti: “Dal punto di vista ecologico, il loro uso e riciclo nel suolo è fondamentale: è esattamente ciò che dovrebbe avvenire, perché assicura la chiusura del ciclo degli elementi nel suolo anziché in acqua o nell’atmosfera. In questo modo si riduce l’impatto ambientale, si favorisce il mantenimento della fertilità dei suoli e si riduce l’uso di fertilizzanti chimici”.


Patrick Domke / ETH Zurich, per uso non commerciale
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