10 Dicembre 2025

Carne e soia (e caffè) trainano la deforestazione in Amazzonia

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L’ultimo rapporto del WWF identifica i principali fattori dietro al fenomeno tuttora in corso in Amazzonia. Nella classifica per impatto delle merci svettano carne e soia. Davanti a cacao, olio di palma e caffè

di Matteo Cavallito

La domanda di carne bovina continua a contribuire in misura maggioritaria alla deforestazione dell’Amazzonia affermandosi come fattore principale davanti alla coltivazione di soia. Lo rivela l’ultimo rapporto del WWF diffuso nelle scorse settimane e realizzato in collaborazione con la Chalmers University of Technology di Gotebork e lo Stockholm Environment Institute (SEI).

Nello studio i ricercatori hanno utilizzato immagini satellitari dell’uso del suolo nell’area, combinandole con dati sulla produzione agricola e sui flussi commerciali. A determinare il disboscamento è soprattutto la spinta offerta dai mercati interni dei Paesi della regione anche se resta rilevante il ruolo dei consumatori a livello globale.

In Amazzonia persi 8,6 milioni di ettari in 5 anni

“Le colture agricole, la produzione di carne bovina e, in misura minore, il commercio di legname sono associati a 8,6 milioni di ettari di deforestazione nella regione amazzonica tra il 2018 e il 2022. Ciò rappresenta il 36% della deforestazione globale totale registrata nello stesso periodo”, rileva il rapporto. “L’allevamento bovino con l’espansione dei pascoli è il principale fattore diretto e rappresenta il 78% (6,7 milioni di ettari) del disboscamento attribuito alle materie prime in quell’arco di tempo”.

A oggi, inoltre, “Il 59% della deforestazione generata dalla produzione di carne nel mondo e il 33% riconducibile alla soia si collocano in Amazzonia”.

In Brasile, in particolare, i sistemi produttivi sono largamente collegati alla regione amazzonica, impattando su un totale di 6,5 milioni di ettari. Oltre il 20% della deforestazione globale indotta dalla domanda di mercato di Paesi come Portogallo, Svizzera, Spagna e Corea del Sud, spiegano i ricercatori, ha avuto origine in questa stessa area.

Carne, soia e… caffè

Attualmente, “sappiamo che l’espansione dei pascoli per la produzione di carne è alla base della deforestazione, soprattutto in Brasile, ma il quadro è molto più complesso di così“, ha spiegato in una nota Martin Persson, professore presso la divisione di Teoria delle risorse fisiche della Chalmers. ”L’aumento della produzione e della domanda di colture come soia, olio di palma, cacao e caffè è un fattore importante in altre aree, soprattutto in Bolivia, Ecuador e Perù“.

Particolare, nota ancora il docente, il caso della Svezia dove a incidere in maniera maggioritaria sulla deforestazione indotta è la domanda di un altro prodotto: il caffè.

Secondo le ultime rilevazioni, a partire dal 2022, questo prodotto avrebbe superato anche la carne bovina nella classifica delle merci che impattano sul disboscamento. Quell’anno il consumo di caffè in Svezia avrebbe infatti contribuito alla distruzione di 331 ettari di foresta pluviale amazzonica, un’area corrispondente a circa 463 campi da calcio. La carne bovina si ferma a 236 ettari. Lo studio, ricorda comunque Persson, si basa su un calcolo di impatto medio per ogni categoria di prodotto e non fornisce dati disaggregati per quegli esemplari certificati come “sostenibili”.

I dati aiutano a prevenire la deforestazione

Fattori come l’espansione dei pascoli o la diffusione delle coltivazioni, che impattano sul cambiamento d’uso del suolo, hanno insomma un ruolo determinante. In questo scenario, conclude lo studio, è fondamentale continuare a investire nella fornitura di dati e nella trasparenza. Il miglioramento nella raccolta delle informazioni, in particolare, è decisivo per sviluppare nuove intuizioni e migliorare i processi di monitoraggio continuo.

“Le attuali lacune nelle conoscenze relative ai luoghi di coltivazione dei prodotti agricoli e all’origine dei flussi commerciali richiedono un maggiore livello di trasparenza nella produzione e nella catena di approvvigionamento”, sottolinea lo studio.

In questo modo diventa quindi possibile realizzare migliori valutazioni dei rischi, orientare le pratiche di conservazione verso le aree a rischio, prevenire lo spostamento delle attività di deforestazione nei paesaggi limitrofi e, infine, promuovere la responsabilità degli attori che operano all’interno e all’esterno della regione amazzonica.