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Terreni europei sotto stress: il 60% è in pericolo

L’allarme arriva dagli esperti intervenuti all’edizione 2020 di Ecomondo: urge un cambio di rotta.
Perché suoli in salute significano sicurezza alimentare, biodiversità, tutela del clima

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Negli anni molte persone hanno compreso la rilevanza del tema dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Di fronte al degrado del suolo, tuttavia, la storia cambia. La consapevolezza del problema appare infatti molto più inadeguata. A sottolinearlo è Paola Adamo, presidente della Società Italiana della Scienza del Suolo e Ordinaria di Chimica Agraria presso l’Università Federico II di Napoli, aprendo i lavori del convegno “Un suolo produttivo e in salute”, ospitato dalla Digital Edition 2020 di Ecomondo.

Un allarme ulteriore di fronte alle minacce che da tempo stringono d’assedio la risorsa più importante del Pianeta. Già, perché il suolo – che non è solo il punto di partenza per la produzione alimentare ma è anche un eccezionale regolatore della biodiversità, dei flussi idrici e del clima – fa i conti oggi con una salute sempre più compromessa. Nel Vecchio Continente i terreni in precarie condizioni rappresentano ad oggi non meno del 60% delle aree coltivabili totali.
Anche per questo l’Unione europea ha dedicato al suolo una delle sue cinque “missioni pluriennali” individuate l’anno scorso per affrontare le principali sfide dell’umanità. E qui, per fortuna, la consapevolezza non manca di certo. «Suoli in salute significano sicurezza alimentare, prodotti sicuri e garanzia di funzioni ecosistemiche fondamentali per tutti noi come la regolazione dell’acqua oltre alla tutela del clima e della biodiversità», spiega Catia Bastioli amministratore delegato di Novamont e membro del “Mission Board for Soil Health and Food” istituito dalla Commissione Ue.

La parola chiave è fertilità. «Il suolo è un sistema vivente che ha costante bisogno di carbonio organico» spiega Claudio Ciavatta, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, Università di Bologna. «Solo che quest’ultimo è presente in quantità limitata: dall’1% al 3% dei componenti totali». E se si perde? «Il suolo smette di essere fertile. Volendo estremizzare, cessa di essere suolo». Non è un caso che negli ultimi anni siano emerse ricerche e iniziative dedicate al recupero delle componenti organiche come il biochar (il materiale che si ottiene dalla pirolisi della biomassa vegetale) e alla tutela della diversità microbica: due elementi chiave per il mantenimento della salute del terreno.
Ma non sempre la normativa ha saputo intercettare le esigenze degli operatori favorendo i comportamenti virtuosi. «Oggi gli incentivi per il recupero della materia organica sono ancora marginali», sottolinea Flavio Bizzoni, presidente Consorzio Italiano Compostatori. Un problema persistente che incide, va da sé, sulle prospettive di salute del suolo stesso. Con tutte le conseguenze del caso.

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